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Aprile 2024
Fonte: il sole 24 ore

Alla ricerca dei nuovi sistemi di accumulo per le rinnovabili

Da amore a prima vista a matrimonio d’interesse: il legame tra fonti rinnovabili e sistemi di accumulo è sempre più forte. La speranza è che partorisca una sana transizione energetica, capace di fermare o almeno rallentare l’emergenza climatica. Gli impianti solari ed eolici dovranno per forza accoppiarsi agli accumuli per superare un’obiezione : dove prendiamo l’energia quando il vento non soffia e il sole non splende? Grandi batterie agli ioni di litio vengono già utilizzate per ammortizzare gli sbalzi e stabilizzare la rete elettrica, ma questa tecnologia ha una capacità limitata, con una copertura di poche ore.

«Potrebbe migliorare in prospettiva, ma non saranno le batterie al litio la tecnologia risolutiva per gli accumuli di lunga durata», prevede Giovanni Battista Zorzoli, presidente onorario del Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica e grande esperto di accumuli.

Gas compressi e batterie al flusso redox

Lo storage di lunga durata (Ldes) dev’essere in grado di immagazzinare energia non solo per molte ore, ma per giorni, settimane o perfino mesi, per poi rilasciarla quando serve, ad esempio in caso di anticiclone persistente con cielo coperto, il grande nemico delle rinnovabili intermittenti, che i tedeschi chiamano “dunkelflaute” (bonaccia scura). A questo fine si sta lavorando su varie tecnologie, con diversi gradi di maturità: per le durate settimanali si guarda ai gas compressi e per le più lunghe sono promettenti le batterie al flusso redox, con nuove chimiche in arrivo. Poi ci sono gli accumuli termici, come le batterie a sabbia o a sali fusi. «Queste tecnologie di accumulo consentiranno di aumentare notevolmente la programmabilità della produzione eolica o fotovoltaica. Se, come è previsto, si aggiungerà anche l’apporto dell’intelligenza artificiale, che consentirà di prevedere con grande precisione le condizioni climatiche con tre giorni di anticipo, la distinzione fra rinnovabili programmabili e non programmabili sarà di fatto superata», ragiona Zorzoli.

Un mercato da 3mila miliardi di dollari

Il Long Duration Energy Storage Council, lanciato alla COP26, stima che la potenza installata di Ldes dovrà aumentare da otto a 15 volte entro il 2040, fino a 1,5-2,5 terawatt (con una capacità di accumulo di 85-140 terawattora), creando un mercato da 3mila miliardi di dollari, per consentire una transizione energetica completa ed economicamente ottimale. Ad oggi, però, il punto di riferimento del settore è ancora lo stoccaggio idroelettrico mediante pompaggio, soprattutto grazie alla sua elevata efficienza: l’80% di energia immagazzinata in questo modo arriva a fruizione. Si tratta di una tecnologia vecchia di oltre un secolo, ma resta il metodo di stoccaggio più utilizzato a livello globale, con circa 160 gigawatt di capacità installata e altri 130 gigawatt in via di realizzazione, di cui il 60% in Cina. In Europa l’esempio più imponente si trova in Spagna, nell’entroterra di Valencia, dove Iberdrola ha chiuso con delle dighe un bacino in cima al plateau de La Muela, alto 900 metri, e un altro 500 metri più in basso, realizzando con un investimento di 1,2 miliardi di euro la più grande centrale idroelettrica a ciclo chiuso d’Europa, con una potenza di 1.8 gigawatt, quasi equivalente a due centrali nucleari. Questa enorme “batteria” utilizza l’energia in eccesso prodotta dai campi eolici spagnoli per “ricaricare” il bacino superiore e poi rilascia le stesse masse d’acqua, che generano energia attivando le turbine nei momenti di picco della domanda. In Italia, grazie alle grandi risorse idroelettriche delle Alpi e degli Appennini, esistono già quasi 7 gigawatt di pompaggi, con un’enorme capacità di accumulo che potrebbe tranquillamente assorbire tutte le instabilità delle rinnovabili italiane e in parte anche di quelle europee, facendo dell’Italia la “batteria” d’Europa, ma non vengono utilizzati a questo fine per ragioni di mercato.